Documento della segreteria nazionale che evidenzia le preoccupazioni dei Socialdemocratici dinanzi al rischio che l’Italia si allontani dalla comunità dei paesi di democrazia avanzata. Un pericolo che diverrà attuale se, alle prossime elezioni, dovesse prevalere la pericolosa impostazione sovranista e populista dell’estrema destra.
I Socialdemocratici italiani accolgono la notizia dello scioglimento delle Camere come una controprova dell’impossibilità di restaurare la dignità della politica, almeno
con la presente classe “dirigente”, nonostante il generoso impegno del Capo dello Stato nel corso di tutta la legislatura. Il Presidente Mattarella, figura della “Prima Repubblica” che ha attraversato l’ultimo quarantennio di storia repubblicana, svolgendo importanti funzioni nel sistema politico ed esercitando ruoli di assoluta rilevanza, ha gestito le varie crisi senza risparmiare tutta la propria autorevolezza. Purtroppo, il livello oltremodo basso degli interlocutori non ha consentito di
raccogliere i frutti sperati: ciò nonostante, risalta una volta di più che il Presidente della Repubblica non è un tecnico o un’espressione della società “organizzata”, né un intellettuale estraneo ai problemi della governabilità e della rappresentanza, ma un modello di politico di razza. La sua storia personale racconta la coerenza e l’impegno di un grande giurista che ha dedicato alla sua passione civile ed alle sue idee gran parte della propria vita, contrariamente a chi si è trovato a fare il parlamentare “per grazia ricevuta”, senza alcun senso dello Stato e privo di qualsivoglia spessore politico-culturale.
La grande anomalia di queste ore consiste nel fatto che in nessuna delle grandi democrazie liberali è pensabile che si lasci divampare una crisi di governo sul nulla e, oltretutto, in un momento politico segnato dalla bassa congiuntura economica, dalla
pandemia e dalla guerra di aggressione del regime russo contro la democrazia ucraina. Una saldatura populista tra gli estremismi dei 5 Stelle e della destra ha così fatto precipitare il Paese nel baratro, offrendo agli interlocutori europei il solito
quadro dell’Italietta degli irresponsabili e degli interessi di bottega prevalenti, tratto caratterizzante di tutta la storia della “Seconda Repubblica”. I sedicenti moderati sembrano aver infine gettato la maschera, con Forza Italia ormai al rimorchio
dell’estrema destra e incurante (al pari della Lega) del ruolo dei suoi stessi ministri: una dimostrazione di come le recenti autodefinizioni in termini “centristi” si siano palesate come del tutto fasulle, senza peraltro esser valse a cancellare anni di
populismo e di linguaggio estremista, soprattutto da parte del suo fondatore, adesso ansioso di scodinzolare dietro i capi delll’ultradestra sovranista, nelle persone di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
A settantacinque anni dalla scissione di Palazzo Barberini, inquieta notare come in Europa non soffi il vento della guerra fredda, ma quello della guerra vera e propria, scatenata dagli odiatori della democrazia e del mondo libero, i quali sintetizzano il peggio dei totalitarismi del Novecento. Come nel 1947-1948, l’Italia è ancora una volta considerata dai nemici della società aperta come il ventre molle della comunità democratica internazionale. Tali nemici, nel tempo presente, sono gli odierni sovranisti e populisti, che una volta giunti al governo saranno in condizione di allontanare il Paese dalla sua storica collocazione geopolitica e geostrategica, resa possibile anche dalle coraggiose azioni del Presidente Giuseppe Saragat di tre quarti di secolo fa. Le prossime elezioni politiche del 25 settembre saranno non meno decisive di quelle del 1948: l’Italia rischia ancora una volta di cambiare schieramento e mandare al macero ogni residua credibilità. I Socialdemocratici si impegneranno perché il Paese non sia consegnato agli amici di Putin ed Orbán, così come anni fa si adoperarono per salvarlo dagli ammiratori di Mussolini, di Hitler e di Stalin. Per questo, già da ora la Socialdemocrazia chiama a raccolta tutte le forze democratiche, progressiste, liberali, siano esse riformiste o moderate, perché la preziosa opera del governo di Mario Draghi – pur non esente da alcuni inevitabili limiti, legati alla composizione stessa dell’esecutivo – non sia distrutta. L’auspicio è che, a partire dal PD e dalle altre soggettività che non hanno fatto venir meno l’appoggio al governo, si
costruisca un fronte che mantenga l’Italia tra le grandi potenze europee di democrazia avanzata e ponga al centro i problemi strutturali del Paese. Una missione a cui chi crede nei valori del socialismo democratico non verrà mai meno.